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Jiro Sato, il suicidio per onore del più forte tennista giapponese

Discussione in 'Chiacchiere su tutto il resto!' iniziata da takashikon, 1 Giu 2025 alle 21:01.

  1. takashikon

    takashikon Utente Noto

    Nome e Cognome:
    Fabio Colombo
    Categoria Atleta:
    4a Cat.
    Squadra:
    TT Varese/TT Lugano
    JIRO SATO: LA MORTE SULLA STRADA PER WIMBLEDON



    «L’animo mio, per disdegnoso gusto,
    credendo col morir fuggir disdegno,
    ingiusto fece me contra me giusto».
    (Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno XIII, vv 70-72)



    Jiro Sato vide per la prima volta la luce del Sol Levante il 5 gennaio 1908 (anno giapponese Meiji 41) a Komochi, nella prefettura di Gunma (ora città di Shibukawa). Erede di una ricca famiglia di agricoltori (il padre Ichirobei e la madre Yoshi gestivano un’azienda forestale), mostrò subito grandi attitudini sia per lo sport che per lo studio.

    Eccelleva infatti negli studi ma anche nel kendo e nelle corse veloci di atletica. Durante gli anni della scuola elementare, trascorsi nella zona montuosa tra il monte Akagi e il monte Haruna, si intagliava le racchette di legno e giocava a tennis con il fratello maggiore, più vecchio di lui di due anni. Si allenavano nel giardino di casa e, quando non c’erano i genitori, contro i muri dell’abitazione. Jiro entrò presto a far parte del circolo tennistico della Shibukawa Junior High School. Il campo era ricoperto di pomice, residuo della vecchia eruzione del monte Futatsudake sul monte Haruna, e per quel motivo la palla non rimbalzava dritta; per tale motivo fu necessario costruirne altri e Jiro fu tra quelli che si diedero più da fare, pulendo il cortile della scuola che era coperto di sassi. Da quel momento in poi cominciò ad esercitarsi ogni giorno raccogliendo un sassolino alla volta.

    Se aveva deciso di allenarsi, avendo dato la sua parola si recava sui campi, anche se pioveva, ad aspettare l’arrivo degli altri giocatori, anche se la maggior parte di loro alla fine non veniva. Quello era il suo modo di pensare. “Una promessa è qualcosa che si stabilisce tra più persone, quindi non si può essere in ritardo o assenti a causa della decisione egoistica di una persona”. Inoltre Jiro aiutava i deboli e rispettava i forti.

    Successivamente si iscrisse alla facoltà di economia dell’Università Waseda di Tokyo ma la abbandonò nel 1933 per il dovere di dedicarsi completamente al tennis. Anche il fratello maggiore, Hyotaro Sato, divenne un tennista.

    Nel 1927 al torneo All-Japan di Osaka sconfisse la testa di serie n.4, Matsuura. Jiro debuttò sulla scena internazionale tennistica due anni più tardi, nel 1929 (Showa 4); in quell’anno infatti il Racing Club di Parigi durante una tournée si recò anche in Giappone per una serie di incontri. In quell’occasione Sato sconfisse Jacques Brugnon, Raymond Rodel e Pierre Landry venendo sconfitto solamente da Henri Cochet, dal quale il giovane giapponese copiò in parte lo stile e l’impugnatura della racchetta.

    Nel 1930 Jiro vinse il titolo di singolare ai campionati giapponesi e si classificò secondo nel torneo Invitational Mid Pacific, dove venne sconfitto dallo statunitense Holman.

    Nel 1931 fece il suo debutto in Europa e raggiunse le semifinali del campionato di Francia, nel quale fu sconfitto da Jean Borotra, che si aggiudicò quel torneo; raggiunse anche i quarti di finale di Wimbledon dove venne sconfitto ancora dallo stesso avversario.

    Borotra, che attaccava sistematicamente Sato, divenne la sua principale bestia nera.

    Successivamente in Inghilterra Sato ottenne una dozzina di successi considerando sia singolari che doppi. Infatti Jiro si era trasferito per un certo periodo in quella nazione, dove viveva e lavorava il suo connazionale Miki Tatsuyoshi. Là Jiro visse la sua vita migliore, partecipando a feste, venendo corteggiato ed occidentalizzando il suo comportamento.

    Nel 1932 arrivò in semifinale agli open di Australia; quindi, non inserito tra le teste di serie, raggiunse nuovamente i quarti di finale nel torneo di Wimbledon, peraltro senza perdere nemmeno un set. In un affascinante incontro tra l’astuzia giapponese e l’aggressività statunitense ottenne quindi una sensazionale vittoria a sorpresa sul campione uscente Sidney Wood in quattro set ma perse poi la semifinale contro Bunny Austin. Due mesi più tardi, negli U.S. Pacific Southwest Championships, sconfisse il californiano Ellsworth Vines, famoso per il suo terrificante servizio che raggiungeva quasi i 210 km/h.

    Durante la semifinale della zona europea di Coppa Davis a Milano, contro l’Italia, si manifestarono ancora i sintomi di quella che alcuni avrebbero definito “la malattia della Coppa Davis”, cominciata nel 1931 in occasione dell’incontro contro l’Egitto a Parigi. Se a Parigi Sato aveva dato forfait a risultato acquisito a causa di forti dolori allo stomaco accompagnati da diarrea, a Milano perse da Giovanni Palmieri contribuendo all’eliminazione del Giappone. Dopo quella sconfitta Jiro si chiuse in un silenzio prolungato in quanto aveva preso molto male quella sconfitta. A peggiorare le cose arrivò una lettera dalla federazione giapponese:

    "Quest'anno avevamo grandi speranze di vincere la Coppa Davis e tu hai fallito perdendo queste due partite, che si sono concluse entrambe con un suicidio da parte tua. Questo è deplorevole ed imperdonabile. In tutti questi mesi in cui sei stato lontano dal Giappone ovviamente non hai fatto alcun progresso a livello mentale. Ti sei concentrato troppo su Wimbledon e non abbastanza su questa partita contro l'Italia. Ora pensa alle conseguenze delle tue azioni ed a come dovrai migliorare".

    Il 1933, anno in cui, come detto, lasciò l’università, fu tuttavia la sua stagione migliore, soprattutto per i risultati ottenuti a Wimbledon: semifinale nel singolare (sconfitto in quattro set dall’australiano Jack Crawford) e finale nel doppio (insieme a Ryosuke Nunoi, sconfitti da Brugnon e Borotra in quattro set). Se avesse conquistato il titolo di singolare in Giappone sarebbe stata dichiarata una festa nazionale! Precedentemente aveva raggiunto la semifinale nel singolare anche al campionato di Francia, dove si era arreso ancora a Crawford dopo aver sconfitto Fred Perry nei quarti di finale. Il quotidiano “Ecode Paris” scrisse: “La grande battaglia tra Sato e Perry fu uno scontro di due civiltà. L’Oriente sconfisse l’Occidente grazie ad un intelletto acuto ed alla pura forza di volontà”. A quel punto Wally Meyers, giornalista che all’epoca redigeva le classifiche, inserì Sato al numero tre del ranking mondiale dopo Crawford e Perry ma davanti ad Austin, Vines e Cochet.

    L'anno successivo, come di consueto, la squadra giapponese guidata da Sato, Jiro Fujikura, Hideo Nishimura e Jiro Yamagishi, più il giocatore/capitano Ryuki Miki, si imbarcò per l'Europa per disputare la Coppa Davis ed i tornei del Grande Slam. Era stato convocato anche Nunoi, che però rifiutò la convocazione per motivi personali. Anche Sato aveva chiesto di poter essere esentato, sia per motivi di salute che di studio, ma fu spinto a partire dalle molte aspettative che erano poste su di lui.

    A differenza della maggior parte dei suoi connazionali, che prediligevano un gioco fatto di rotazioni e di potenza, Sato giocava un tennis moderno, ispirandosi ai nuovi giocatori occidentali; il rovescio era elegante ed il diritto veniva giocato in anticipo, appena la pallina aveva rimbalzato; i suoi assi nella manica erano il servizio ed il gioco al volo (colpi essenziali per affermarsi sull’erba); Jiro era simpatico fuori dal campo ma imperscrutabile quando giocava; inoltre amava la sua patria con una devozione profonda. Veniva definito una persona imperturbabile. Aveva sempre un atteggiamento controllato. Non metteva mai in discussione una decisione, nemmeno con un'occhiata alla linea laterale o alla linea di fondo, tanto meno con uno sguardo all'arbitro. Non aveva particolari atteggiamenti se non quello di fare occasionalmente un piccolo inchino per riconoscere l'abilità del tiro vincente di un avversario. La sua sportività era considerata un esempio perfetto per i giovani dilettanti. Eppure, contro ogni ragione ed in totale contrasto con la sua immagine pubblica, Jiro Sato aveva una personalità profondamente disturbata.

    Fisicamente anche se di bassa statura era dotato di una grande forza atletica che, oltre alle mascelle quadrate ed al suo stile di gioco che consisteva nell’aggrapparsi alla preda senza mai lasciarla andare, gli valse il soprannome di “Bulldog Sato” che gli venne attribuito dalla stampa australiana. A quel proposito alla fine di una festa post partita parlò in inglese e fece un discorso spiritoso, dicendo: "Mi considero più bello di una star del cinema, quindi mi dispiace di essere chiamato Bulldog", il che suscitò risate ed applausi.

    Dopo aver cominciato molto bene la Coppa Davis (con anche una bella vittoria su Gottfried Von Cramm) arrivò la semifinale di Parigi. Sato non fu efficace col servizio e sbagliò troppe schiacciate nel quinto set del doppio; perse inoltre 9:7, 1:6, 4:6, 6:4, 7:5 l’ultimo decisivo singolare, sconfitto da una donna, Vivian McGrath. L’Australia vinse 3:2; tornato in patria venne criticato e Jiro passò in un attimo da eroe a perdente.

    Il ritorno in Giappone coincise con un malessere che lo portò a recarsi in ospedale per una serie di esami. Qualcuno ipotizzò che si trattava di una malattia sessualmente trasmissibile, contratta in un bordello dove era stato trascinato da Borotra che lo avrebbe spinto ad andare oltre il suo carattere serio e rigoroso incitandolo alla dissolutezza nelle notti parigine.

    Jiro non voleva più sentir parlare della Coppa Davis, almeno per il 1934. Ad un banchetto di benvenuto tenutosi pochi giorni dopo il ritorno dei giocatori in Giappone, alla fine della stagione 1933, apparve accasciato sul tavolo con gli occhi pieni di lacrime mentre il presidente della federazione nipponica parlava della passata campagna che si era conclusa con una nuova delusione.

    Era quindi cominciato un periodo di crisi e Sato perse poco per volta interesse per il tennis e pensò di riprendere gli studi di economia e di terminare il servizio militare. Gli piaceva molto anche andare a ballare, ricordava chi l’aveva conosciuto. Voleva inoltre sposarsi e formare una famiglia. Si era da poco fidanzato con la sua compagna di doppio, la sua connazionale Sanaye Okada. Chiese quindi alla federazione giapponese il permesso di prendersi una pausa dal gioco ma gli venne rifiutato con la motivazione che un giocatore deve mettere il suo talento al servizio del suo paese. In Giappone gli atleti erano ampiamente utilizzati per consolidare la reputazione internazionale dell’Impero e vincere la Coppa Davis avrebbe significato raggiungere l’obiettivo più importante. Anche Sanaye cercò di convincerlo che il tennis doveva essere al primo posto della sua vita, almeno ancora per un po’; il tempo per fermarsi, ritirarsi, fare scelte diverse sarebbe arrivato poi.

    Alla vigilia di Natale del 1933 chiese alla sua fidanzata di sposarlo ed ella accettò; il matrimonio venne pianificato per la primavera del 1935, dopo che Jiro avesse terminato la sua stagione tennistica e si fosse laureato.

    Ma vi era un ostacolo, e non da poco. Sanaye era figlia unica e, come voleva la tradizione, Sato avrebbe dovuto prendere il suo cognome per preservarlo. Tuttavia gran parte della famiglia di Jiro non era d’accordo. Il dilemma, per un uomo con un elevato senso dell’onore, era una strada senza uscita: offendere la sua famiglia o rompere la promessa di matrimonio? Qualsiasi fosse stata la scelta, sarebbe comunque stata disonorevole.

    Anche se in un’intervista aveva dichiarato che il Giappone avrebbe avuto ben poche possibilità di sconfiggere la forte squadra australiana, aveva alla fine deciso di accettare una nuova convocazione per la coppa Davis.

    Nell’aprile del 1934 (Showa 9) si imbarcò infatti a Kobe sulla N.Y.K. Hakone Maru in direzione Gran Bretagna per l’importante incontro del secondo turno contro l’Australia ma con ben altri pensieri per la testa.

    Quando la nave fece scalo a Singapore, Sato pensò di lasciare la delegazione e tornare in Giappone il prima possibile. Per questo aveva già preso accordi con un’altra nave, la Terukuni Maru. Dato che soffriva di dolori allo stomaco lasciò l’Hakone Maru per sottoporsi a test medici, che però indicarono che i suoi problemi erano puramente psicologici. Inoltre il console dell'impero giapponese a Singapore tenne un banchetto in onore dei tennisti in cui sia lui che la Japan Tennis Association, attraverso telegrammi, insistettero affinché Sato continuasse il suo viaggio; gli interessi economici in ballo erano troppo alti. In quegli anni si dava maggiore importanza alle competizioni a squadre per nazioni piuttosto che alle competizioni individuali, anche se importanti come Wimbledon. Vincere la Coppa Davis avrebbe consolidato la reputazione internazionale dell’impero ed avrebbe portato una considerevole quantità di denaro nelle casse giapponesi. Jiro non era il tipo di uomo che discuteva il punto di vista dei suoi superiori ed obbedì agli ordini.

    Era il 5 aprile; il transatlantico aveva da poco lasciato Singapore, attraversato lo stretto di Malacca (un corridoio marino che separa l’isola di Sumatra dalla costa occidentale della Malesia) ed era diretto verso Penang, circa 800 km più a nord. Si dice che in quel tratto di mare nelle notti di luna piena l’acqua produca un effetto specchio che ha il potere di ammaliare gli uomini e di trascinarli irrimediabilmente nella sua oscurità. La serata era calda e tranquilla: a quelle latitudini il clima era umido ed in quelle condizioni era difficile andare a letto presto, perciò i passeggeri si intrattenevano nelle aree comuni chiacchierando, ordinando qualcosa da bere, leggendo o giocando a carte; nella sala da pranzo, arredata con due lampadari luccicanti, specchi ovunque che sembravano raddoppiare lo spazio e pareti colorate d’azzurro proprio come il mare, un’orchestrina allietava la cena del comandante della nave e dei suoi ospiti, la squadra giapponese di tennis composta dai tre “Jiro” (oltre a Sato anche Yamagishi e Fujikura) e da Hideo Nishimura. Sato però non stava bene, aveva dolori allo stomaco; cercò di convincere la squadra che aveva bisogno di riposo. Col passare del tempo la sua sedia rimase vuota. Jiro era poco sereno ma disertare una cena ufficiale era una cosa inaccettabile.

    Ad un certo momento Jiro si chiuse nella sua cabina, dove gli venne servita una cena leggera composta da una zuppa e del gelato; la cabina era stata trasformata in un altare improvvisato, sul tavolino aveva infatti posizionato un vaso con delle orchidee, le fotografie del padre e della fidanzata e due candele accese; al centro del tavolo vi era un piattino contenente del cibo giapponese, come segno di offerta, ed alle sue spalle era appesa la bandiera del Sol Levante. Vestito di flanella bianca e con la giacca ufficiale della sua federazione a quel punto probabilmente, cullato dalle onde della notte, pregò. Quasi certamente non per la vittoria ma per il perdono.

    Attorno alle 23.30 il suo compagno Yamagishi entrò in quella cabina ma la trovò vuota. Sato si era buttato in pieno oceano. Nelle successive ore la nave ripercorse la rotta mentre i membri dell’equipaggio tentavano di scrutare il mare nella speranza che Jiro non fosse ancora annegato. La ricerca fu vana. Poco dopo si scoprì che mancavano due pesanti maniglie di avvolgimento della gru ed anche una corda per saltare che la squadra di tennis aveva usato per l’allenamento sul ponte. La lucidità di Sato, con ogni probabilità, aveva assicurato con terribile efficienza il proprio corpo al fondo più profondo dell’oceano.

    Restarono alcune lettere, una rivolta all’intera squadra:” Non sarei stato in grado di aiutare il nostro team. Al contrario, sarei stato fonte di problemi e preoccupazioni per tutti voi. Sforzatevi al massimo per fare meglio di quanto avrei fatto. Prego e credo che lo farete. Anche se non sarò fisicamente con voi, sarò accanto a voi con lo spirito “. Un’altra, rivolta al capitano della nave, per scusarsi umilmente dell’inconveniente e dell’imbarazzo causati dalla sua disperata azione. Al presidente della federazione espresse la sua gratitudine per tutto quello che era stato fatto per lui. E per Sanaye, la sua fidanzata, scrisse queste parole: "Sanaye, oh mio destino, ti prego perdonami. Da quando ho lasciato il Giappone sono indebolito dalla mia malattia intestinale. E poi c'è qualcosa che continua a ronzarmi nella testa. Un pensiero futile ma ossessivo che mi impedisce di concentrarmi. Anche solo scrivere questa lettera richiede un grande sforzo di concentrazione. Domani arriveremo a Singapore e morirò. È da codardi ma non posso farci niente. Certo, annulla il nostro fidanzamento. So che sto facendo qualcosa di veramente sbagliato. Ho macchiato il tuo nome, disonorato la tua famiglia. Per favore, dai i miei vestiti a mio fratello. E tieni tutto il resto. Addio..."

    Alla fine il guerriero di tante battaglie vinte sul campo aveva ceduto al peso di un intero paese sulle spalle, o almeno a quello che lui sentiva di dover portare. La sua fragile psiche era stata schiacciata dalla responsabilità e dal suo elevato senso dell’onore. La stanchezza mentale di Jiro aveva raggiunto il limite a causa dei tour all'estero che duravano sei mesi all'anno, della partecipazione a partite di esibizione, delle visite alle aziende per presentarsi e dell'aspettativa di vincere le partite come giocatore di Coppa Davis in rappresentanza del suo paese.
    Poco dopo la mezzanotte, poco più di tre ore e mezza dopo che il campione era stato visto vivo per l’ultima volta, l’Hakone Maru invertì la rotta. Per tutta la notte, per sette lunghe ore, girò intorno all’acqua con tutte le luci accese nel tentativo di trovare il corpo e forse anche, per miracolo, di recuperarlo vivo. Inviò inoltre dei messaggi alle altre navi che transitavano nelle vicinanze. Tutto invano. Alle sette della mattina dopo le ricerche furono sospese. Sulla nave, dove venne allestito un altare funebre adornato con le racchette e le foto di Jiro, venne organizzata una cerimonia in suo onore.

    Dopo la partenza del loro miglior giocatore la squadra giapponese proseguì per Eastbourne dove perse 1-4 contro l'Australia. Il capitano, Ryuki Miki non giocò quell’incontro ma successivamente vinse il doppio misto a Wimbledon, e ancora colpito dalla tragedia, si ritirò dal tennis dopo il torneo. Ryosuke Nunoi, compagno di Sato in doppio e con lui finalista a Wimbledon, si arruolò nell'esercito imperiale giapponese, combatté nella campagna di Birmania nella seconda guerra mondiale e si suicidò a sua volta nel 1945. Alcuni articoli ipotizzano che la morte di Sato possa aver influenzato il suo suicidio.

    Fred Perry disse che Sato “era una delle persone più allegre che avessi conosciuto”. Forse non lo conosceva abbastanza bene. Bunny Austin aggiunse che “aveva un grande senso dell'umorismo... Dava sempre l'impressione di essere l'ultimo uomo sulla terra che avrebbe fatto una fine del genere”. Miki dichiarò che Sato era una persona gioiosa, che amava scherzare e far ridere la gente. La fidanzata ricordò che Sato sperava di poter rimanere a Singapore. Aggiunse inoltre: “Credo che Jiro si sia suicidato solo per senso di responsabilità, dopo aver acconsentito alle richieste dell'associazione tennistica di andare in Europa, anche se voleva tornare da Singapore. Rimpiangerò fino alla fine della mia vita che sia stato l'ordine della Japanese Lawn Tennis Association a causare la sua morte. Jiro era un uomo d'onore e giocava sempre per l'onore del Giappone".

    Suo fratello Hyotaro aveva rivolto un appello alla squadra giapponese affinché non cancellasse il proprio incontro e si battesse con il massimo impegno.

    Se Sato fosse stato di qualsiasi altra nazionalità il suicidio del popolare tennista giapponese non si sarebbe mai verificato.

    Il suicidio è raro tra gli sportivi ma Sato, pur essendo probabilmente lo sportivo orientale più conosciuto al mondo, era giapponese. La sua razza non considerava il suicidio come una vergogna. Anzi, era un distintivo di nobiltà. In Cina e in Giappone e ovunque sia penetrato il buddismo la vita umana è considerata di scarso o nullo valore e la morte è considerata come una porta d'accesso alla gioia eterna.

    Una volta Sato scrisse un articolo su un quotidiano dove affermava: "Il tennis è guerra." La racchetta è la pistola, la palla è il proiettile. Il tennis è una guerra che dà vita alle persone.”

    Una statua di Sato si trova vicino al cancello principale della Shibukawa High School e veglia sul campo dove un tempo giocava. Gli archivi contengono le sue cinque racchette di legno preferite, fotografie, trofei ed altri oggetti.

    La tomba di Jiro si trova nel distretto di Yokobori sulla Strada Nazionale 358 (sulla strada che da Shibukawa porta alla città di Nakanojo).
     
    A Tsunami!, ggreco e VUAAZ piace questo messaggio.
  2. ggreco

    ggreco Arrotatore di dritto, picchiatore di rovescio.

    Nome e Cognome:
    Giovanni Greco
    Categoria Atleta:
    5a Cat.
    Squadra:
    CUS Torino
    Che storia triste, ma coerente con la mentalità giapponese del tempo.
    Mi sembra un concetto un tantinello razzista e suprematista occidentale, oltre a mescolare due culture profondamente diverse come quella cinese e quella giapponese.
     

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